Credo che il fatto di mandare un aereo
in orario faccia troppo mainstream per Ryanair.
Così ho quattro ore da spendere in
aeroporto a Treviso, quattro ore e un solo negozio. Ci sono entrata
perché ho visto che vendevano gli smalti dell' O.P.I., poi ho visto
che ogni smalto costava venti euro allora ho lasciato perdere. Venti
euro per laccarmi le unghie non mi sembrano un buon compromesso.
Stavo per uscire quando mi sono resa
conto che nel negozio (sempre quello, quello che soffre di
solitudine) c'era il reparto libreria. A quel punto sono tornata
indietro col proposito di comprare dei libri, visto che essendo
dentro l'aeroporto avrei potuto trasportarne una quantità enne (n)
senza beccarmi la ramanzina delle guardie. Alla fine venti euro di
libri mi sembravano un investimento migliore.
Solo che poi c'è stato un disguido.
Quando mi sono avvicinata agli scaffali ho realizzato, o meglio,
ri-realizzato per l'ennesima volta, la decadenza sociale e
“artistica” nella quale ci stiamo progressivamente infilando.
Sembra un discorso ovvio, e in realtà lo è, però io oggi ho tempo
da perdere quindi perché non blaterare di cliché?
Mi avvicino ai libri e dopo un'attenta
perlustrazione mi rendo conto di poter scegliere, per i miei
acquisti, tra:
- One Direction, la strada verso il sogno;
- Effetto Bergoglio, le dieci affermazioni di Papa Francesco;
- svariate opere di Fabio Volo (o Fabio Bolo, checchevogliate voi)
- e infine “11 minuti”, capolavoro di Paulo Cohelo il cui titolo, signori, sta ad indicare il tempo necessario all'esemplare uomo per completare un amplesso.
Se vi state chiedendo perché lo so, lo
so perché io me li leggo anche, 'sti libretti di mezza letteratura,
letteratura per poveri, per poveri di pensiero intendo. Li leggo
perché alla fine credo non si possa criticare senza conoscere, anche
se poi, dopo aver faticosamente conquistato l'ultima pagina di queste
non-opere , mi arrogo il diritto di bannare definitivamente certi
autori dalla mia lista letture.
Fatto sta che d'accordo, so che sto in
aeroporto e non alla Marciana in Piazza San Marco, però io non posso
fare a meno di pensare che se Papa Francesco e gli One Direction sono
i soggetti che vendono meglio... allora abbiamo un problema. No?
Dico, noi persone abbiamo un problema.
E anch'io ho un problema perché mi
hanno appena ritardato l'aereo di un'altra ora.
Comunque, dicevo, questa impressione di
decadenza generalizzata a volte mi assale e mi faccio prendere da
certi quesiti esistenziali del tipo: quand'è che le opere
letterarie hanno smesso di essere opere e sono diventate beni di
consumo? Oppure, quand'è che abbiamo iniziato ad accontentarci della
poesia spicciola che non buca la tela e non strappa il foglio? E
tutta questa banalità e questi libri, canzoni, link-in-facebook
preconfezionati per rispondere alla domanda della persona media, a
lungo andare, non precludono la possibilità di sviluppare una
sensibilità più profonda?
Sì, sì lo so esagero. Questo comunque
è il primo step del pensiero. Poi di solito mi faccio due conti e
parte la fase dell'autocritica. Ma Nico anche tu ascoltavi i
Backstreet Boys, ma Nico anche tu ti spacchi di video tutorial che ti
insegnano come sfumare l'ombretto sugli occhi, ma Nico anche tu a
volte licenzi il congiuntivo e vai in giro a dire se volevo
facevo, esattamente come fa Fabio Volo, insomma.
Però poi mi dico che la differenza
forse sta nella consapevolezza.
Quando mi rotolo in campi di papaveri e
ignoranza io credo di farlo consapevolmente.
Io, per esempio ascolto Keisha, ma
quando si mette a cantare “it's pretty obvious that you've got a
crush, that magic in your pants is making me blush” non intendo
eleggerla frase d'amore dell'anno. Così come non penso che Tiziano
Ferro raggiunga le vette dell'Olimpo nel momento in cui mi dice,
tutto sguaiato e convinto, che notizia è l'anagramma del suo
nome.
Però mi chiedo,
gli altri ci pensano a queste cose? O sono solo io che filo dietro a
'ste stronzate?
Perché dopotutto
lo so, lo so che ognuno ha il diritto di leggere ciò che vuole, lo
so che nemmeno io sono immune a questa specie di consumismo
artistico, alla poesia spicciola che sta nelle immagini di copertina
in Facebook o che passa e sparisce sugli schermi dei nostri
smartphone.
Però mi dispiace.
Mi dispiace che la
gente pensi che Paulo Cohelo è davvero uno che scrive opere
letterarie, mi dispiace che le parole siano diventate cibo da dare in
pasto ad un pubblico che è ignorante. Ma ignorante secondo il
significato etimologico del termine, ossia un pubblico che ignora,
che non conosce e che spesso non vuole conoscere.
Mi
dispiace anche quando cerco un libro da comprare e mi tocca mettere a
soqquadro lo scaffale intero per recuperare, dietro il cofanetto
degli One Direction, una copia di Memoria delle mie puttane
tristi di Gabriel Garcìa
Màrquez.
Mi dispiace perché
io volevo un bel libro e l'unico che ho trovato aveva pure la
sovracopertina rovinata.
Poi che volete,
l'ho preso lo stesso, però mi dispiace perché certi libri non
dovrebbero starsene dietro di tutto, un po' dimenticati e un po'
spiegazzati.
Sono polemica? Sì,
sono polemica.
Sono annoiata? Sì,
solo anche annoiata, dato che il mio aereo ha un'altra mezz'ora di
ritardo.
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